Iran: i motivi delle complicate relazioni con i Paesi del Gulf Cooperation Council. Prospettive.

Iran: i motivi delle complicate relazioni con i Paesi del Gulf Cooperation Council. Prospettive.

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                            Il Presidente dell’Iran Raisi

Un interessante lucido panorama redatto da Paolo Brusadin sulla complicata politica estera dell’Iran con un nuovo Presidente al potere e con una nuova situazione in Afghanistan.

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

E’particolarmente complicato dipanarsi nelle relazioni tra l’Iran e i Paesi GCC – Gulf Cooperation Council, ancor di più se contestualizzate all’interno della più ampia e variegata realtà mediorientale.

Da tempo stiamo assistendo a una competizione diretta per una supremazia regionale, non solo politica e militare ma anche economica.

Il GCC è stato istituito esattamente trent’anni fa, principalmente per rispondere alle minacce di una possibile espansione della rivoluzione iraniana.

Nella lotta regionale s’è inserita la Turchia, anch’essa concentrata, come peraltro l’Arabia Saudita, nel cercare di erodere lo storico vantaggio competitivo che l’Iran può vantare nei confronti della Siria, dello Yemen, del Libano e dell’Iraq.

È utile ricordare che l’Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain investono circa 100 miliardi di dollari all’anno nella difesa, potendo contare su mezzi ed attrezzature moderne di fabbricazione americana, mentre l’Iran investe circa 16 miliardi per equipaggiamenti più obsoleti di provenienza russa e cinese.

È evidente che l’appoggio americano a favore dei Paesi GCC è fondamentale anche se, alla lunga, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio e creare ulteriore incertezza, mettendo a nudo una totale dipendenza ed una sudditanza militare e tecnologica.

Data per certa la supremazia dei Paesi GCC in un classico conflitto convenzionale, l’Iran sta dunque da tempo adottando una diversa dottrina strategica che mira all’utilizzo delle milizie per destabilizzare gli stati più fragili sfruttando, per l’appunto, il vantaggio competitivo storico attraverso la creazione di alleanze sub-statali.

Gli iraniani si sono rivelati altresì abili ad approfittare delle debolezze, delle contraddizioni e delle rivalità tra gli arabi, basti pensare alla diatriba tra il Qatar da una parte e l’Arabia Saudita, EAU e Bahrain dall’altra.

Negli ultimi anni l’Arabia Saudita ha cercato di rafforzare la sua presenza in Libano ed in Iraq, niente a che vedere però con quella iraniana.

Cosa succederà nel prossimo futuro? La risposta dipende da quando dureranno le guerre e le tensioni in corso, nonché dalla solidità dell’armonia ritrovata tra il Qatar, l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti.

Si spera in un’attenuazione delle attuali tensioni e delle guerre e dunque un nuovo ordine potrebbe nascere con il venir meno dell’influenza iraniana; nel caso però alcune situazioni dovessero diventare croniche, si correrebbe il rischio di una perpetuazione della scomoda presenza iraniana.

Il rischio di trasformare gli attuali conflitti in Siria, in Libia, nello Yemen e finanche in Iraq in una guerra per procura a bassissima intensità diluita nel tempo, purtroppo è reale.

Una cosa da tener presente nelle relazioni tra questi Stati, è un’asimmetrica percezione della minaccia. Per i Paesi GCC l’Iran è il nemico peggiore, la minaccia diretta alla propria esistenza, mentre per l’Iran gli Stati del Golfo sono dei nemici di media intensità, se comparati agli Stati Uniti d’America ed Israele.

Nemici di media intensità poiché sono percepiti come strumenti degli americani, punta di diamante degli sforzi americani per minare la Repubblica islamica.

A ben vedere, l’ultima volta in cui gli iraniani hanno percepito gli stati del Golfo quale minaccia reale, è stata nel corso della decennale guerra Iran-Iraq negli anni ottanta.

Da quel periodo in poi, l’Iran è sempre stato visto dagli Stati Uniti come parte dell’asse del male, con una graduale intensificazione degli sforzi per annullare il programma di arricchimento nucleare, tutt’ora in corso.

I sauditi ben prima degli anni ottanta, della rivoluzione iraniana e la cacciata dello Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, già consideravano l’Iran il proprio nemico per eccellenza.

Infatti, dagli anni settanta, dopo il ritiro degli inglesi dal Golfo Persico, gli americani individuarono l’Arabia Saudita e l’Iran quali alleati per contenere l’Unione Sovietica in piena guerra fredda.

Pur essendo nella stessa parte della barricata, tra i due paesi iniziarono le incomprensioni e si diffuse una crescente diffidenza che portò l’Arabia nella guerra Iran-Iraq a sostenere Saddam Hussein, considerato di gran lunga meno pericoloso di Khomeini.

Da quel momento gli iraniani si sono sempre più impegnati nel cercare di sfondare la falange arabo-americana, nel cercare di dimostrare la fallacità dell’ombrello di sicurezza americano.

Attraverso una ripetuta serie di attacchi alle navi in transito nel Golfo Persico, all’uso continuato di droni contro gli impianti petroliferi, l’Iran ha più volte cercato, peraltro riuscendoci, a mettere a nudo la vulnerabilità degli Stati GCC, instillando dubbi sull’affidabilità degli Stati Uniti.

Nel frattempo, ha dato corso alla dottrina della “difesa in avanti”, allargare cioè la propria influenza nella regione per meglio difendere il proprio territorio. Una sorta di cortina di ferro mediorientale.

E’ abbastanza evidente che l’Iran rappresenti dunque una sfida ideologica e militare nei confronti dei Paesi GCC e la modulazione dell’intensità della minaccia dipenderà dalle “nuove” relazioni con gli Stati Uniti d’America.

Da decifrare l’atteggiamento della nuova presidenza americana di Joe Biden nei confronti dell’Iran, dopo quattro anni di non relazioni imposte da Trump. I primi segnali sembrano essere più concilianti.

Da valutare appieno il nuovo Presidente iraniano, l’ex responsabile della magistratura Ebrahim Raisi, eletto lo scorso 18 giugno 2021.

Una vittoria facile la sua, considerato che i candidati riformisti si sono ritirati dalla corsa qualche giorno prima dell’apertura dei seggi.

Raisi è ritenuto un uomo “duro”, ha conseguito un dottorato in giurisprudenza islamica ed è avanzato nella carriera in magistratura diventando a 25 anni assistente del Pubblico Ministero di Teheran. Poi è stato promosso Pubblico Ministero nella città di Khang e poi di Hamedan. Nel 1985 è stato nominato Vice Procuratore a Teheran per poi entrare sempre più nei gangli del potere.

Da valutare l’andamento delle “nuove relazioni”, anche riguardo alla spinosa questione del nucleare.

Ai recenti colloqui di Vienna, il negoziatore iraniano ha confermato che l’Iran e gli Stati Uniti sono vicini al rilancio dell’accordo nucleare del 2015 anche se, chiaramente, ha affermato che la distanza tra le parti è ancora molto ampia. Nei prossimi mesi probabilmente assisteremo a nuovi step nei colloqui, intervallati da fasi di discussione nei rispettivi Paesi.

Intanto, i rapporti tra Iran e GCC rimangono complessi, controversi ed una possibile riappacificazione è ancora lontana. Vedremo se i nuovi soggetti al potere e gli effetti della crisi pandemica porteranno a nuove positive prospettive.

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