Egitto. I rapporti con la nuova Amministrazione americana. Discontinuità con il passato?

Egitto. I rapporti con la nuova Amministrazione americana. Discontinuità con il passato?

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L’Egitto rimane sempre il pivot centrale nella politica del Medio Oriente. Importanti i rapporti fra i due presidenti, el Sisi e Biden, ben analizzati nell’articolo che segue di Paolo Brusadin

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

E’ probabile che la prima reazione del Presidente egiziano Abdel-Fattah el Sisi all’elezione di  Joe Biden quale nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, sia stata di viva preoccupazione, visto che Trump lo considerava il suo “…dittatore preferito…”.

Al di là di un’affinità elettiva, la preoccupazione di el-Sisi è legata alle crescenti critiche americane per il basso grado di democrazia in Egitto e lo scarso rispetto dei diritti umani.

Alla luce dei possibili atteggiamenti americani, il rapporto tra USA ed Egitto rimarrà quello consolidato nel corso degli ultimi decenni, o è destinato a mutare?

Sin dagli anni settanta l’Egitto è stato considerato un partner storico degli Stati Uniti per la sua importanza quale Paese leader nella regione mediorientale, sia da un punto di vista politico, sia culturale.

Ad esempio, la produzione musicale e cinematografica è egiziana ed in dialetto egiziano, comprese le maggiori serie televisive, anche quelle di nuova produzione tanto attese che vengono trasmesse proprio in questi giorni durante il periodo di Ramadam Karim.

L’Egitto è importante anche perché da 150 anni ha il controllo del Canale di Suez, arteria vitale dell’economia egiziana, passaggio obbligato dal Mar Mediterraneo al Mar Rosso.

Con i lavori del raddoppio del Canale terminati nel 2015, oggi possono transitarvi circa 100 navi al giorno, rispetto alle 47 autorizzate prima dell’intervento d’ampliamento.

Altrettanto significativo l’antico ruolo dell’Egitto quale mediatore in Medio Oriente, con il Cairo sede del quartier generale della Lega Araba, l’Organizzazione Internazionale che riunisce i Paesi del Nord Africa, del Corno d’Africa e del Medio Oriente.

E’ indubbio che il punto di svolta per il consolidamento dei rapporti bilaterali sia stato la firma del trattato di pace del 1979 tra Israele ed Egitto con la mediazione americana.

Certo, l’esito finale di una pace separata fu diverso da quello auspicato dall’allora Presidente americano Jimmy Carter e da quello egiziano Muhammed Anwar el Sadat, tuttavia è stato, vista la situazione, il miglior accordo possibile da poter concludere con l’israeliano Menachem Begin.

Ed è un fatto che dal 1979 ad oggi non ci sono state delle tensioni gravi tra i due Paesi, tanto meno delle guerre.

Da non dimenticare il ruolo fondamentale svolto dall’Egitto quale garante della sicurezza di Israele, soprattutto lungo il confine con Gaza (ruolo di mediatore tra Israele e Hamas per il mantenimento del cessate il fuoco).

Da quel momento in poi, l’Egitto ha beneficiato di ancora più cospicui aiuti economici americani (dal 1946 ad oggi ha ricevuto più di 85 miliardi di dollari, per la maggior parte sottoforma d’assistenza militare).

Aiuti fondamentali per mantenere al potere per oltre trent’anni il Rais Muhammed Hosni Sayyid Ibrahim Mubarak (succeduto a Sadat assassinato a il Cairo il 6 ottobre 1981 nel corso di una parata militare trasmessa in diretta televisiva), ed oggi altrettanto essenziali per il regime di el Sisi.

Oltre al sostegno economico, si registra anche una vasta cooperazione strategica in molti settori, tra cui quello della Difesa.

Nonostante ciò, non sono mancate forti tensioni, ieri come oggi, tutte le volte che viene posta alla ribalta la questione legata al rispetto dei diritti umani e alla diversa declinazione del concetto di democrazia.

Pressioni sono state fatte dalle varie Amministrazioni succedutesi alla Casa Bianca, da quella di George W. Bush, a quella di Barack Obama (proteste del gennaio 2011, preludio della caduta di Mubarak).

Con il Presidente Trump le relazioni tra il Cairo e Washington sono state particolarmente fruttuose e senza alcuna tensione. Rapporto idilliaco che anche il Piano americano per la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi, seppur penalizzante per i palestinesi, ha visto l’appoggio convinto di el Sisi.

Stante così la situazione, non è difficile immaginare che la prima reazione egiziana all’annuncio della vittoria democratica sia stata un mix d’ansia, di preoccupazione e di paura.

Ciò lo si rileva leggendo i titoli delle prime pagine dei maggiori quotidiani egiziani, in particolare quelli filogovernativi.

E ciò spiega la velocità con cui el Sisi si sia congratulato con il nuovo inquilino della Casa Bianca, risultando il primo tra tutti i leader del mondo arabo.

Ansia per la paura di un ritorno di Biden alle politiche dell’era Obama, sensibili alle questioni legate ai diritti umani, alla protezione e al rispetto delle libertà personali, nonché alla salvaguardia del ruolo della società civile.

Paura, peraltro amplificata, per la presenza nel Congresso americano di alcuni membri particolarmente sensibili alla questione dei diritti umani.

Preoccupazione anche per la possibilità, seppur altamente improbabile che, in qualche modo e con diverse gradazioni, gli americani possano ricucire il dialogo con l’opposizione egiziana all’estero, in particolare, con gli Ikhwan Muslimin, i Fratelli Musulmani, banditi in Patria.

Di certo il quadriennio di Trump è coinciso con un periodo in Egitto che ha visto il consolidamento, se possibile ancor maggiore rispetto al passato, della figura di el Sisi quale figura di uomo solo al comando.

Quattro anni in cui tutti gli indicatori economici sono peggiorati in un Paese in cui il sistema di potere si mantiene fortemente centralizzato e sostenuto da un Esercito che non è solo espressione della forza militare ma anche politica ed economica.

Un Esercito che è una vera e propria industria che costruisce strade, che produce il latte, il pane e l’acqua minerale venduti ai prezzi più bassi sul mercato, nei villaggi e nelle campagne, assicurandosi così l’appoggio delle fasce più deboli della popolazione.

Un Esercito che controlla metà dell’economia egiziana, il demanio e numerose proprietà immobiliari comprendenti moltissimi palazzi e costruzioni, terreni e spiagge.

Cosa aspettarci dunque nel prossimo futuro? Probabilmente assisteremo a una pressione calibrata dell’America affinché el Sisi apra a una maggiore democrazia, di sicuro non a un atteggiamento duro, se non altro per salvaguardare gli interessi strategici in gioco.

Pertanto, continuerà la cooperazione bilaterale, sia nel campo della sicurezza, sia in quella economica.

Il tutto rimarrà entro i confini di una consolidata retorica giacché, anche se diretto da un regime autoritario, un Paese come l’Egitto è meglio tenerlo dalla propria parte, piuttosto che vederlo avvicinarsi ad est, verso la Russia o la Cina.

Stante la situazione attuale, non si vedono i prodromi perché Biden possa replicare Obama e non si intravedono segnali affinché il nuovo inquilino della Casa Bianca possa abbandonare il sostegno a el Sisi, come fece Obama con Hosni Mubarak.

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