Entro settembre dunque tutte le truppe straniere dislocate in Afghanistan si ritireranno lasciando quel territorio governarsi da solo…forse. Una domanda sorge spontanea: dopo 20 anni dii guerra e di Caduti riusciamo a lasciare un territorio superficialmente pacificato dove coloro che sono stati combattuti, cioè i talebani, sono ancora massicciamente presenti e potenti. Un ottimo risultato, indubbiamente.
Non possiamo e non dobbiamo pensare che costoro abbiano cambiato il loro modo di vedere il mondo e di governarlo. Quello che spesso gli americani non capiscono è la mentalità o il modo di pensare di quelle popolazioni che sono molto più sofisticate di quello che noi crediamo nella nostra superiorità o meglio di quella che riteniamo la superiorità nella nostra identità occidentale e lo scrivo da occidentale che però è vissuta molto a contatto di quel mondo.
Ho conosciuto l’Afghanistan negli anni 70 quando ancora non se ne parlava e ho frequentato afghani di notevole levatura culturale. Sono poi tornata a Kabul e a Herat nel 2006, con una visita conoscitiva che mi permise lo Stato Maggiore della Difesa. Sembra strano ma trovai per le strade poche differenze con gli anni 70. Salvo camion militari, soldati, carri armati. Si vedevano solo donne con l’azzurro burqa afghano e le bambine tutte con il chador. In altri tempi le donne non erano così massificate ma dal 1996, da quando i talebani avevano preso il potere, questa era la regola. Da ricordare però che negli strati bassi della popolazione, questi erano stati i secolari costumi. Le ragazze andavano a scuola ma prevalentemente in classi solo femminili e anche allora non era prevista una promiscuità tra l’elemento maschile e quello femminile. Certamente non erano costrette a coprirsi e potevano studiare!
La povertà del popolo mi sembrò la stessa di quelli degli anni 70, forse ancora più marcata.
È vero. C’è un accordo di pace fra gli Stati Uniti e i talebani e indubbiamente quegli accordi sono stati un’opportunità storica per arrivare a pensare a una sistemazione politica, possibilmente definitiva.
Non è da sottovalutare il fatto che Imran Khan, Primo Ministro del Pakistan e il suo omologo turco Erdogan si sono incontrati in questi giorni per parlare del processo di pace afgano. Imran Khan ha riaffermato che il Pakistan vuole una sistemazione politica negoziata nel conflitto, perché il Pakistan è molto interessato alla stabilità regionale e ha facilitato gli accordi di pace fra gli Stati Uniti e i talebani, dell’anno scorso; accordi peraltro non implementati del tutto, a cominciare dal ritiro di tutte le truppe straniere dall’Afghanistan. In realtà questa nuova data di ritiro aggiunge altri tre mesi a quella che era la data concordata tra gli Stati Uniti e i talebani nel 29 febbraio 2020 (1° maggio), a Doha. Una tregua di pace, forse come processo di riconciliazione iniziato molto tempo prima ma che non aveva calmato la violenza di attentati.
È poco noto che la Turchia ospiterà a breve un summit sulla pace afghana che durerà una decina di giorni, dal 24 aprile in poi, con rappresentanti del governo afgano, degli Stati Uniti, delle Nazioni Unite, del Qatar e altre potenze della regione. Il problema è che i talebani hanno rifiutato di partecipare a questo incontro e hanno rilasciato una dichiarazione, il 13 aprile, sostenendo che non si sarebbero impegnati in ulteriori incontri fino a che non fosse stato completato il ritiro di tutte le truppe straniere dal territorio afghano. Questo sarà da vedere: possono cambiare idea all’ultimo momento se sembrerà loro utile sul piano concreto una partecipazione per ottenere quanto da loro voluto nel settore del governo civile.
Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken si è recato a Kabul giovedì15 aprile, per illustrare ai governanti afghani il piano redatto dal presidente Biden per il ritiro completo delle truppe americane e alleate (NATO), dall’Afghanistan entro l’11 settembre. Il Segretario di Stato americano ha incontrato il Presidente Achraf Ghani, Abdullah Abdullah a capo della delegazione coinvolta per gli incontri sulla pace e responsabili militari americani sul territorio per illustrare quello che sarà invece l’impegno ‘civile’ di Washington sul territorio, dopo la ritirata.
La frase chiave detta da Blinken sarebbe stata che gli accordi cambiano ma la ‘partnership’ continua…come? Ancora non se ne conoscono i dettagli.
È molto interessante e fa riflettere il fatto che sarà la Turchia a ospitare dal 24 aprile prossimo al 4 maggio il summit per la pace in Afghanistan. Questa ospitalità dimostra ovviamente il forte interesse turco ad avere influenza anche verso quel settore strategico. Non è ancora certo che i leader dei talibani presenzieranno a questa riunione che vedrà insieme oltre agli Stati Uniti anche le Nazioni Unite e il Qatar, come sopra indicato. Il primo obiettivo dell’incontro è proprio quello di far accettare ai talebani il rinvio le truppe straniere dal territorio oltre il 1° maggio, data che era stata concertata nel febbraio del 2020.
Quale sarebbe lo scopo principale della conferenza di Istanbul sul processo di pace afgano: indubbiamente è di accelerare anche l’implementazione delle decisioni dei negoziati tra gli stessi afghani, talebani e non, a Doha per raggiungere una sistemazione duratura e corretta.
È chiaro che il prossimo incontro a Istanbul si focalizzerà soprattutto nell’aiutare i due più importanti negoziatori a raggiungere quei principi che possano riflettere una visione concordata sul futuro dell’Afghanistan, una road map futura per un accordo politico che possa realmente portare alla fine del conflitto.
Il problema principale non è solamente la presenza di attori stranieri, più o meno in divisa, sulla stabilità del territorio ma soprattutto un accordo definitivo tra i talebani e le altre forze afghane politiche che intendono condurre la nuova vita di un territorio senza presenze militari straniere. Ovvero riuscire a creare un concreto governo della pace, che accetti da parte dei talebani soprattutto modi di vita e di governo che non rientrano nella loro ideologia più accreditata. Il Concilio Afghano per la Riconciliazione Nazionale, formato nel 2010, dovrebbe al summit di Istanbul presentare delle proprie proposte basate su richieste dei partiti politici e di membri della società civile. Non è assolutamente scontato che queste proposte siano sottoscritte e men che meno accettate dai talebani.
E allora? Analizziamo bene quale sarà in realtà il ruolo del Pakistan e soprattutto di Istanbul che sembrerebbe voler allargare la propria influenza anche in territori più lontani, oltre a ricostruire un impero ottomano in modo diverso ma con gli stessi obiettivi imperiali di influenza economica e politica.
È indubbio che se la riunione di Istanbul porterà a dei risultati concreti, la Turchia e il Pakistan avranno una parte decisiva nel futuro di Kabul. Così come è molto dubbio che i talebani accetteranno una visione di governo che non sia conforme a quello che loro ritengono sia l’unica possibilità di modo di vivere.
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