La guerra dimenticata nello Yemen. Priorità per l’amministrazione Biden?

La guerra dimenticata nello Yemen. Priorità per l’amministrazione Biden?

mappa_yemen

(Fonte: UNESCO)

Tra Covid e Turchia non si parla quasi più di quel che continua a succedere in Yemen. Eppure è una regione straordinariamente delicata. Quale sarà la politica del nuovo POTUS verso quel dimenticato Paese?

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La nuova Amministrazione americana, capeggiata da Joe Biden, concentrata sulla lotta alla pandemia, sta concedendo il fianco a crescenti speculazioni riguardo al “nuovo” ruolo americano in Medio Oriente.

Molti i dossier internazionali aperti, tra cui il destino del martoriato Yemen alle prese con il conflitto iniziato dai riverberi della primavera araba del 2011 che costrinse il Presidente yemenita Ali Abdullah Saleh a lasciare il potere ad Abdrabbuh Mansour Hadi.

La transizione non ha portato stabilità e pace, al contrario ha segnato l’inizio di una progressiva intensificazione del conflitto tra i ribelli sciiti Houthi e le forze leali al Presidente.

Il conflitto è ulteriormente degenerato nel 2015 a seguito dell’entrata in campo dell’Arabia Saudita, a capo di una coalizione di altri otto Stati della Regione, contro gli Houthi filo iraniani.

Come sempre accade, chi paga le conseguenze della guerra è la popolazione. Da quest’assioma non sono sfuggiti gli yemeniti che, da anni, sono alle prese con una deteriorata situazione economica e sociale, oramai sull’orlo del collasso.

La mancanza di cibo, acqua potabile, servizi igienici e medicine, ha facilitato la diffusione del colera, della difterite cui s’è aggiunto, come se non bastasse, il coronavirus.

Questo il quadro di un Paese destinato a diventare, se la guerra dovesse continuare ancora a lungo, il più povero del mondo.

Il Presidente Biden però potrebbe avere un ruolo importante nella soluzione del conflitto, in considerazione del fatto che l’indulgenza che godeva l’Arabia Saudita da parte di Trump è destinata ad un rapido depotenziamento.

Ciò è legato alle ripercussioni legate al riemergere prepotente della spinosa questione dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuto nel 2018 mentre era in visita al Consolato saudita a Istanbul.

L’oblio mediatico che aveva avvolto il caso nell’ultimo biennio era prevedibile potesse finire con l’elezione di Biden; infatti, è sufficiente riascoltare i discorsi pronunciati dall’allora candidato democratico in campagna elettorale e gli attacchi diretti all’Arabia Saudita, definito uno Stato “paria”.

Pertanto, una rimodulazione dei rapporti bilaterali USA – Arabia Saudita è inevitabile, così come, anche se non immediatamente, potrebbe venir meno l’appoggio americano alla disastrosa guerra nello Yemen.

La strada del disimpegno non è semplice da percorrere, in considerazione di un panorama politico americano frastagliato sul tema, anche all’interno stesso della compagine democratica.

Però Biden potrebbe tessere la tela e trasformare la situazione in un’opportunità, non solo per fermare il conflitto ed usare il potere diplomatico per raggiungere un accordo di pace ma anche per alleviare la sofferenza degli yemeniti.

È utile ricordare che, purtroppo, la situazione umanitaria nello Yemen è in costante deterioramento e già alcuni mesi orsono (novembre 2020), il Direttore del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite aveva dichiarato che il Paese stava nuovamente affrontando una fase acuta della carestia.

Una sponda potrebbe arrivare dagli stessi sauditi giacché e del tutto evidente che la guerra è in una fase di stallo prolungato e, inevitabilmente, più i tempi si dilatano, più aumentano i costi di gestione dell’apparato militare.

Altresì, c’è un problema legato alla reputazione dell’Arabia Saudita, sia dal punto di vista militare, sia come guida e leader nella regione mediorientale.

In questa situazione magmatica, un ruolo determinante potrebbe paradossalmente rivestirlo l’Iran degli Ayatollah.

Anche per quanto riguarda l’Iran, riascoltare i discorsi di Biden in campagna elettorale può essere utili per decifrare le possibili mosse future dell’Amministrazione americana.

Infatti, non sono mancate dure critiche alla politica di Trump, peraltro definita senza giri di parole un vero e proprio fallimento, per l’esattezza un fallimento “pericoloso”.

Secondo quanto affermato dal nuovo Presidente, da quando gli Stati Uniti d’America si sono ritirati dall’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan Action – JCPOA, firmato a Vienna il 14 luglio 2015 tra l’Iran, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito), la Germania e l’Unione Europea, di fatto l’Iran ha aumentato la sua attività.

In dettaglio, Teheran ha accumulato, secondo Biden, una quantità di uranio arricchito superiore dieci volte a quella posseduta ai tempi dell’Amministrazione Obama.

Certo, Biden ha riconosciuto che l’Iran in questi ultimi anni ha lanciato delle sfide alla sicurezza degli Stati Uniti d’America ma …” c’era un modo più intelligente per trattare con l’Iran…”.

L’approccio bivalente di Biden sembra dunque delinearsi chiaramente. In primis rientrare nel JCPOA, condizionato dal suo rigoroso rispetto da parte dell’Iran, non senza però, di concerto con gli alleati, averlo rinforzato e reso più stringente.

Nel contempo, lavorare per cercare di ridurre le tensioni e porre termine ai conflitti regionali, compresa la guerra nello Yemen.

Sebbene l’entità del sostegno dell’Iran agli Houthi sia difficilmente quantificabile, Biden potrebbe considerare il ritorno dell’Iran al tavolo delle trattative un possibile viatico per una soluzione pacifica della tragedia yemenita.

E’ di tutta evidenza che, per un ipotetico ritorno iraniano, dovrà essere affrontata la spinosa questione delle sanzioni internazionali imposte dall’Amministrazione Trump, senza peraltro il supporto degli altri membri citati in precedenza, il c.d. P5+1.

Sanzioni che hanno ulteriormente infiacchito una già debole e provata economia iraniana anche se, per la verità, gli iraniani sono abituati da quarant’anni a vivere e convivere con la presenza di restrizioni più o meno rigide.

Quest’ultime però sono pesanti e, secondo alcuni analisti, paragonabili a quelle imposte dalla Comunità internazionale alla fine degli anni ottanta, ai tempi della guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein.

La situazione è intricata e difficile da sbrogliare giacché tutti gli attori in scena sono fermi nelle loro posizioni. Certamente gli iraniani non si muoveranno sin tanto che le sanzioni non saranno tolte e gli americani non agiranno sino a quando l’Iran non tornerà a rispettare l’accordo sul nucleare. Il cane che si morde la coda.

Senza contare i costi politici interni che, sia Biden sia Khamenei, dovranno mettere in conto, al pari di quelli economici, soprattutto nella prospettiva di un accordo di pace nello Yemen.

Accordi di pace su cui Biden potrebbe concentrarsi anche per cercare di rinverdire la storica influenza geo-economica e diplomatica americana, offuscatasi durante l’amministrazione Trump. Da semplici osservatori esterni, varrebbe la pena tifare in tal senso, solo per poter assistere alla fine della penosa crisi umanitaria yemenita.

©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

 

Comments are closed.